Blitz degli studenti a Palazzo di Città

La notizia del blitz degli studenti torinesi nel municipio guidato da Chiamparino mi ha fatto riflettere sul mio passato fra i banchi di scuola. Avevo letto poche ore prima un articolo di Luciana Cimino sull’Unità dal titolo I Baustelle: «Studenti sui tetti sono una speranza d’Italia», sintesi un po’ tortuosa ma pienamente condivisa.

Ho cercato di ricordare com’ero, com’erano i miei compagni di allora e cosa facevamo. A 17 anni ero nel consiglio di istituto, sapevo poco o nulla di economia, ignoravo la realtà industriale di quel momento; il diritto del lavoro rappresentava qualcosa di lontanissimo dalla mia immaginazione. Lo stesso vale per i temi delle pensioni, della pubblica amministrazione, etc. Argomenti sui quali oggi sono certamente più ferrato, eppure.
Eppure allora avevo le idee molto più chiare. Sento di avere svenduto le mie sane certezze di qui giorni per un piatto di rassicurante e falso pragmatismo tipico dell’età adultà.

Ora come allora ritengo che stiamo sbagliando molto; qualche migliaio di anni di storia,  di progresso civile e tecnologico non sono serviti a niente: restiamo al lavoro per almeno 40 anni (a parte quelli che muoiono nelle fabbriche e nei cantieri ogni giorno) quando puniamo gli ergastolani con un massimo di 35 (ma spesso entro 20 anni si esce in semilibertà): dal lavoro che conosciamo non c’è salvezza. Ci affanniamo a lavorare per almeno 8 ore al giorno non per costruire qualcosa di utile o necessario ma per portare a casa del denaro che ci permetta di ingrassare un sistema che si è dimostrato estremamente fallace. Ben presto “le cose che possediamo finiscono col possederci”. La massima aspirazione per il lavoratore medio e poter sostenere un mutuo, possedere una casa da poter lasciare ai propri discendenti. Non c’è tempo né spazio alcuno per la comunicazione, il confronto fra eguali, la lettura, il teatro, lo sport. Tutto è mero intrattenimento e l’individuo è più spettatore passivo che parte attiva. Non siamo più in grado di pensare con la nostra testa, il nostro spirito critico viene strangolato fin dalla culla per evitare pericolose deviazioni libertarie.

Don Lorenzo Milani, priore di Barbiana

Nel liceo che ho frequentato era potente lo spirito di Lorenzo Milani, una scuola pensata per formare degli individui, non per riempire delle zucche vuote. Al posto dei voti per anni si sono dati i giudizi e si insegnava l’importanza del confronto diretto, del pensiero critico; si insegnava che nessuno deve essere lasciato indietro. Il ricordo più bello ha a che fare con la cosiddetta “ora di gestione”, dedicata ogni settimana alla dialettica, con un’insegnante a fare da moderatore ma con argomenti all’ordine del giorno stabiliti liberamente dai ragazzi. A volte si trattava di problemi specifici fra persone, altre di temi di interesse generale. Sono cose che fanno crescere come esseri umani prima ancora che come aspiranti lavoratori, consumatori o professionisti.

Dovremmo ripartire da lì, dalla scuola, dal libero confronto, dalla lettura e dallo studio. E poi lavorare meno, lavorare tutti, rinunciare a “metter via” come il Mazzarò di Verga, costruire una società nuova e degna della nostra epoca, realizzare una umanità finalmente sostenibile per il pianeta, dove si produce e si consuma ciò che serve, dove le risose sono per tutti, mettendo fine alla odiosa realtà in cui il 5% della popolazione mondiale consuma l’80% delle materie prime.

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