Enrico Berlinguer, uno dei "padri" più rimpianti dai lavoratori

Ho sempre pensato che i funerali fossero momenti speciali, cara Laika. Di base un saluto estremo, oltre il tempo massimo, ma in ogni caso una specie di bolla senza tempo e senza spazio che ognuno dei partecipanti riempie a modo suo di contenuti propri.

Può capitare così di voler portare il tuo saluto ad uomo che non hai avuto il piacere di conoscere di persona ma che conosci un po’ attraverso i racconti dei familiari, di tuo padre, per esempio, che era un suo coetaneo. Un uomo semplice, che chiede di congedarsi al mondo con il rito civile, con la banda del paese che suona l’Inno dei Lavoratori, un padre, un lavoratore, uno come tanti eppure oggi uno di pochi esemplari rimasti di una generazione che in silenzio sta scomparendo. Cara Laika ti possono venire gli occhi lucidi se ti ritrovi in quel tipo di bolla, riempita di quel tipo di contenuti: il funerale di un uomo onesto può diventare il funerale di una generazione così diversa dalla mia, forse l’ultima a cui sia rimasta una sana consapevolezza di sé, del proprio posto nel mondo, della propria appartenenza sociale.

Ci si può emozionare a starsene lì, in piedi, accecati dal sole di agosto, a pensare che proprio non è giusto dover salutare uomini di quella risma, perché rimaniamo ogni volta più soli, ogni volta più orfani di fronte ad una vita e ad un mondo che si mostra sempre più avverso e più crudele. I nostri nonni hanno vissuto il dramma della II Guerra Mondiale, i nostri padri e le nostre madri gli anni difficili dello scontro di classe, la fabbrica, la piazza, gli scioperi e le credenze vuote, le bollette da pagare, la miseria, l’austerity, la repressione, le bombe, la continua minaccia di golpe, la guerra fredda e la paura dei missili caldi, il terrorismo. La nostra generazione ha avuto benessere e tranquillità, eppure siamo più sotto choc, più impauriti di quanto non siano mai stati loro. E non perché siamo più coscienti, semmai il contrario.

Forse è questa l’unica colpa che posso attribuire alla generazione di Gigi e dei nostri padri: non avere saputo trasmettere la loro forza, il loro coraggio, la loro coscienza civica e di classe. Forse erano troppo impegnati ad offrire ai loro figli ciò che non avevano avuto loro da bambini, chissà, e non me la sento di biasimarli per questo, da padre.

Buon viaggio Gigi, che la terra ti sia lieve, sono sicuro che un domani ci incontreremo


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