Non c’è niente da fare, Laika: il cielo bigio ti fa vedere la città in bianco e nero, come la tv di quando ero bambino. Ci sono cose e parole che in quel bianco e nero ti risultano più ostiche da digerire, come il fritto della rosticceria alle undici di sera o la peperonata alle 8 del mattino. Sarà che divento vecchio e vedo tutto storto, tutto sbeccato, come Nanni Moretti ne “La stanza del figlio”. Sono abituato ai barbari costumi dei social network, alla violenza verbale degli stampatelli, dei punti esclamativi, delle risposte che non stanno mai nel merito ma sempre sulla scia dello slogan. Ma sappiamo entrambi che, per quanto numericamente apprezzabili, gli scambi e le discussioni in rete coinvolgono un numero risibile di soggetti. Il grosso delle persone impigrisce sul divano davanti alla tv, nelle corsie dei centri commerciali, negli uffici, nei negozi o nelle poche fabbriche. Le persone dal vivo si guardano bene dal dire la propria opinione, spesso dichiarano di non averne nessuna. Quasi la metà degli aventi diritto al voto non si esprime più ed in certe elezioni la quota è ben maggiore. 

Il Presidente del Consiglio Matteo Renzi

Il Presidente del Consiglio Matteo Renzi

Forse proprio per questo la chiacchierata sentita poche sere fa ha catturato la mia attenzione. Io ed E. stavamo seduti al nostro tavolino, intenti a sbranare i nostri hamburger. Come al solito lui mi interrogava sui vari argomenti: – Mi racconti di Umberto I? E chi era Vittorio Emanuele III? -. Insomma, domande impegnative a cui cercavo di dare risposta pronta e franca. Così, proprio mentre gli sto raccontando dell’infame Bava Beccaris e di Gaetano Bresci, mi taccio per un paio di secondi per mordere la mia cena. E’ in quel momento che noto i nostri vicini di tavoro, due ragazzi ed una ragazza. Quello che mi siede di fronte parla, gli altri due ascoltano con grande attenzione. Questi spiega con malcelata soddisfazione che nella sua azienda si respira grande ottimismo da quando c’è stata la riforma del lavoro (il famigerato Jobs Act): 

- La sinistra si ostinava a difendere l’articolo 18 ma ora che il governo lo ha cancellato ci sono molte più opportunità, molti più spazi. L’articolo 18 ingessava il mercato del lavoro, ora finalmente si può lavorare e investire -.

Ah, davvero?

Sono piuttosto abituato a sentire cose che non mi trovano d’accordo, credimi. Ultimamente fioccano discorsi completamente senza capo ne coda sui migranti, sui politici, etc. Ma devo ammettere che a distanza di mesi dalla sua approvazione, la spruzzata di ottimismo reaganiano risulta più ridicola che irritante. Crescita? Investimenti? Dove? I numeri ci sono e basta avere voglia di leggerli. Poi, certo, ognuno da una lettura propria per dimostrare quello che vuole ma alla fine uno che fa tre pasti al giorno si nutre, chi ne fa uno decisamente meno. Non si discute. Quindi, a che punto siamo col miracolo?

Il Ministro del Lavoro ci informa che nel mese di luglio il saldo tra posti a tempo indeterminato persi ed assunzioni a tutele crescenti (il Jobs Act, n.d.r.) è positivo per 327.758 unità. Peccato però che la cifra comprenda le trasformazioni dei contratti tempo determinato, corrispondenti a 210.260. Laika le sai fare tu le sottrazioni? Sono sicuro che anche Poletti e Renzi le sanno fare! La montagna Jobs Act ha prodotto 117.498 nuove assunzioni. Parlapà… Stiamo dicendo che per 117.498 assunzioni lo Stato investe 8.000 euro all’anno (8.060, n.d.r.) per ciascuna: per 3 anni fanno quasi 8 miliardi di euro. Vogliamo farla io e te una provocazione per una volta? Significa che quei 117.498 nuovi posti allo Stato (ovvero a noi) costeranno sessantasettemila euro. Un vero affare!

Qualche dato positivo c’è, qualche piccolo indicatore di crescita si intravede ma, come dicono gli analisti, è legato a fattori esogeni (dinamiche monetarie, manovre della BCE, oscillazioni del mercato degli idrocarburi, euforie delle borse dei paesi in crescita, etc). A sostenerlo non è il Manifesto ma Jean-Michel Six, capo economista per l’Europa di Standard & Poor’s.

Il Ministro del Lavoro Giuliano Poletti

Il Ministro del Lavoro Giuliano Poletti

Non è Renzi o il renzismo a spaventarmi, così come non mi spaventava Berlusconi e la sub-cultura che ha portato con sé. Mi preoccupano gli italiani, che se ne stanno lì alla finestra ad aspettare di vedere cosa succede. Questa attesa, mascherata dalle logiche da ultras (i fan di Renzi contro i fan di Grillo, i fan di Salvini contro i fan di Renzi, etc) dove nessuno discute del merito, ci sta ammazzando. Neanche troppo lentamente. E stanno a guardare non solo gli italiani ma anche i partiti, le associazioni. Il sindacato. Il governo dovrebbe essere in grado di rivolgersi ad ognuno di noi e darci un buon motivo per alzarci dal letto la mattina, per andare là fuori, prenderci umiliazioni e frustrazioni e tornare a casa. Non lo fa perché non è in grado, perché non ha una prospettiva o una visione da regalarci, da condividere con noi. Hanno una marea di battute da minorenni, quelle non mancano, ma è tutto lì. Il problema è che questa cosa non la fa nemmeno chi afferma di contrastare ideologicamente o culturalmente l’establishment di questo Paese. Nemmeno la mia CGIL sa darci un buon motivo per non mollare tutto. Anche questo è un macigno. Una volta si diceva alla nostra gente di lottare e tenere duro per costruire “un mondo nuovo di giustizia e di vera civiltà”, “un mondo di fratelli liberi dal lavoro”, si parlava di “sol dell’avvenire”, di utopie. Quelle visioni ci hanno portato a redistribuire ricchezze, a conquistare diritti inimmaginabili, il suffragio universale, lo Stato Sociale, l’istruzione pubblica, la sanità. Nessuno più pronuncia la parola “futuro” se non qualche imbroglione per infilarla in qualche frase fatta o in qualche slogan. Siamo alla pubblicità senza prodotto. Lo spot pubblicitario è diventato il prodotto da vendere. 

C’è nessuno là fuori che vuole spezzare questo giogo? Maurizio Landini! Se ci sei, batti un colpo.

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