La lingua italiana si evolve continuamente. Cresce e cambia adattandosi ai mutamenti sociali, economici e culturali degli Italiani.
Un neologismo, coniato da qualche anno, ci dà il senso della prepotenza con cui un dramma sta investendo la nostra società: femminicidio. Il termine sta ad indicare l’uccisione delle donne in quanto donne, una violenza di genere che va riconosciuta come tale; e pertanto, va analizzata con un’ottica di genere.
Gli omicidi e le violenze degli uomini sulle donne non sono uguali a quelli perpetuati sugli uomini: hanno radici culturali e sociali diverse. La donna viene violata, cancellata, eliminata perche’ vuole essere se’ stessa e non quello che il suo partner, suo padre, la società maschile vuole che lei sia. Viene punita perché non rispetta il ruolo che la società patriarcale le ha assegnato, subalterno a quello dell’uomo. La donna deve essere controllata, assogettata psicologicamente, economicamente, culturalmente, politicamente, fisicamente. E se disattende le aspettative dell’uomo, deve essere annientata.

Questa violazione dei diritti umani nei confronti di metà della popolazione mondiale viene commessa quotidianamente, anche nel nostro civilissimo paese. Ogni giorno leggiamo di una fidanzata, una figlia, una compagna uccisa da un uomo a lei vicino. E i media etichettano come amore criminale o omicidio passionale gesti che con l’amore e la passione non hanno nulla a che fare.
Con le loro azioni, o meglio inazioni, le istituzioni si rendono complici di questi crimini, perché la loro causa principale è la mancata rimozione dei fattori culturali, sociali ed economici che li rendono possibili. Secondo il World Economic Forum l’Italia occupa il 74* posto per gender gap (disuguaglianza di genere) a livello mondiale. Le pari opportunità restano spesso solo enunciate, una bella teoria scarsamente messa in pratica.

Un primo passo verso la soluzione del problema è riconoscerlo come emergenza sociale, chiamandolo con il suo nome: femminicidio.

Un secondo passo puo’ essere quello di firmare l’appello pubblico promosso dalla CGIL e da altre associazioni per chiedere al Parlamento, al Consiglio dei Ministri e alla Società Civile di porre fine a questo orrore.

http://www.petizionepubblica.it/?pi=P2012N24060

Perché essere indifferenti significa essere complici di queste violenze.

Condividi