Il 2012 è stato un anno durissimo fuori dal portone della banca in cui lavoro: a partire dalla ratifica di uno dei peggiori CCNL del credito, per arrivare alle crisi tremende che hanno visto angosciose trattative fra i sindacati e i banchieri nei principali gruppi nazionali (IntesaSanPaolo, Unicredit e Mps), coinvolgendo oltre l’80% dei lavoratori del settore. Ovunque abbiamo subito esternalizzazioni, peggioramenti sull’orario, perdita di controllo dell’organizzazione del lavoro e sul salario. Il Contratto Nazionale, di fatto, è stato reso inerte.
Come sistema-paese abbiamo assaggiato il cosiddetto rigore della “dieta BCE” somministrataci da un governo definito tecnico ma che ha operato in modo assolutamente politico, che ha usato potenti forbici per tagliare welfare e servizi ma mai per tagliare sprechi. Un governo che non ha saputo né voluto cercare una reale ripresa, una redistribuzione della ricchezza, una lotta sacrosanta contro la corruzione ed il crimine organizzato. L’art. 18 dello Statuto dei Diritti dei Lavoratori è stato di fatto superato, la riforma Fornero e l’art. 8 della Finanziaria 2011 hanno sdoganato la libertà di licenziare. Nella nostra categoria sta già succedendo, anche in Piemonte.
Negli ultimi 12 mesi la ricchezza si è ulteriormente concentrata nelle mani di pochi: secondo la Banca d’Italia il 10% delle famiglie possiede il 50% della ricchezza. Secondo l’associazione dei banchieri, il PIL sarà ancora negativo per il 2013, si spera in una timida ripresa dei consumi per il 2014, ma in quale scenario? Fra i paesi dell’OCSE, l’Italia ha due posizioni di vertice infelici: è il primo per la pressione fiscale sui redditi da lavoro ma è al 22° per il livello dei salari. Inutile dire che le misure prese nel corso dell’anno e la crisi sono destinati ad esasperare questa situazione.
In tutto ciò la peggiore classe dirigente che l’Italia repubblicana abbia mai avuto è impegnata a depredare e spolpare tutto ciò che è rimasto di valore. I giornalisti (e in parte i sindacalisti, ahimè), invece di vigilare sull’establishment, si impegnano per lucidare gli ottoni su questo nostro Titanic del Mediterraneo.
Vi risparmio il tema delle crisi internazionali, la situazione del Medio Oriente e della Siria, le continue tensioni con l’Iran, il conflitto sempre più acceso fra gli interessi geopolitici dei cosiddetti BRICS e gli Stati Uniti, la guerra in Afghanistan e via all’infinito.
Per il 2013 non vorrei limitarmi ad augurare il meglio per voi e le vostre famiglie, quello diamolo per scontato. Per noi tutti io vorrei sperare in un anno pieno di voglia di partecipare, di cambiare, di leggere e di pensare. Vorrei un anno pieno di lavoro, con una crescita magari lenta ma costante, senza inseguire i falsi miti dei guadagni istantanei e miracolosi, con più economia e meno finanza, con la ricerca spasmodica della sostenibilità. Vorrei un anno in cui ognuno inizia a fare qualcosa per cambiare, senza aspettare che sia qualcun altro a farlo per primo. Vorrei un anno in cui si può riuscire a leggere una lettera come questa, provare un po’ di sana rabbia e il desiderio di fare qualcosa.
Che il 2013 sia un anno diverso, per tutti noi