L’affronto senza vergogna culminato nell’applauso all’imputato di omicidio volontario Herald Espenhahn della platea di Confindustria svela, senza possibili fraintendimenti, la violenza e l’arroganza del capitale.Un tale affronto non può passare così. Con qualche frase di indignata circostanza e cadere senza colpo ferire. Quelle mani sporche, nel migliore dei casi dello sfruttamento di esseri umani, che applaudivano vanno disinnescate. Senza alcuna reticenza mostrano le reali inclinazioni di questi affamatori di popoli, che vogliono la ricchezza tutta per loro e il lavoratore ridotto a carne da macello materiale e morale per conquistarla. Quest’oltraggio è un monito rivolto ai più tiepidi tra noi. La CGIL, la sola organizzazione che con i suoi iscritti e mezzi poteva mobilitare le masse nella più grave crisi economica dal 1929, in un’occasione francamente più unica che rara ciò che è riuscita e ha voluto produrre dalla deflagrazione del 2008 ad oggi sono manifestazioni e scioperi innocui nonché sospetti di fare da sponda a fini elettorali più che rivendicativi, con l’aggravante di essere a sostegno di una parte politica che da tempo non difende l’interesse dei lavoratori.Uno spettacolo poco dignitoso mostrare i muscoli al solo scopo di essere riammessa a tavoli in cui si scrivono accordi capestri, con l’esito di spegnere e circoscrivere la lotta, rallentarla per poi chiuderla nell’angolo. Mentre stiamo aspettando da sempre Godot, cioè che politica e sindacato facciamo qualcosa per noi, l’unica strada percorribile rimane il rifiuto di questo sistema, dell’elemosina con cui barattiamo il nostro tempo e la nostra libertà.

Imparare la lotta dal romanzo di Nanni Balestrini “Vogliamo tutto” anziché dall’organizzazione cui fai parte è un segno dei tempi, ne riporto alcuni brani come a voler scolpire parole che non hanno intenzione di ritornare:

“...Compagni i contenuti che sono emersi dalla lotta della Fiat sono innanzi tutto l’autonomia operaia cioè gli operai che scavalcano ogni tipo di mediazione sindacale… Adesso è il momento che il mercato richiede maggiore produzione. E’ il momento che Agnelli ha maggior bisogno di noi ed è questo il momento di colpire… Compagni dopo tutte queste settimane di sciopero in cui abbiamo messo in ginocchio il padrone tutti ci dicono di non esagerare. Ce lo dicono i sindacalisti in fabbrica ce lo dicono i giornali fuori. Che se va avanti così sarà la crisi…e poi staremo tutti peggio ci sarà disoccupazione e fame. Ma a me non mi sembra che le cose stanno proprio così…se l’economia dei padroni va in rovina non ce ne frega proprio niente. Anzi ci fa molto piacere…tanto lo sappiamo che qua finché qualcosa non cambia tutto siamo sempre noi a stare peggio. Non siamo stati sempre noi a pagare il prezzo più alto di tutte le lotte?… ho capito che l’operaio ha solo due possibilità o un lavoro massacrante quando le cose vanno bene o la disoccupazione e la fame quando vanno male. Io non so bene quale delle due cose è peggio…in quel tranello non ci caschiamo più…non abbiamo niente in comune siamo due mondi diversi siamo nemici e basta noi e loro…Non è giusto fare questa vita di merda dicevano gli operai nell’assemblea ai capannelli alle porte. Tutta la roba tutta la ricchezza che produciamo è nostra. Ora basta. Non ne possiamo più di essere della roba della merce venduta anche noi. Noi vogliamo tutto. Tutta la ricchezza e tutto il potere e niente lavoro. Cosa c’entriamo noi col lavoro. Cominciavamo a avercela su a volere lottare non perché il lavoro non perché il padrone è cattivo ma perché esiste”.

Parole figlie dell’ondata sessantottina, sepolte dall’individualismo di quella generazione che dopo aver lottato, anziché produrre l’uomo nuovo, assurge a nuova intellighenzia culturale assecondando il kitsch borghese imperante, di cui spesso mi sento tanto prossimo, che immobilizza. Ancora più chiaramente il riscatto dalla paralisi passa dalle parole di Paul Nizan e del suo “Aden Arabia” di una profondità memorabile:

Bisogna avere tempo libero per essere uomo… Mi sforzo di dipingermi uomini liberi che vogliano  essere realmente, e non in sogno come i cristiani e i banchieri, tutto ciò che all’uomo è dato di essere…Se qualcuno va in una piazza…a dichiarare che gli uomini devono vivere come esseri umani e che hanno il diritto…di fare come le piante che vivono da piante, gli si rovescerà addosso una pioggia nera di poliziotti…Questo paese popolato di padroni di schiavi e di schiavi docili ai quali la lunghezza delle catene, ogni giorno ridotta, dà ancora l’illusione della libertà e un senso di potere, è circondato dal mare. Ma non lo usa. Teme che i suoi figli si bagnino i piedi e prendano il raffreddore…E’ il momento di fare la guerra alle cause della paura; quello che ci aspetta non è un gran bell’ avvenire: o diventare simili a loro, con il ricordo scottante di aver voluto in gioventù vivere come uomini, o diventare uno dei loro servi…Senza una lotta non vedo altre conclusioni, e io temevo quelle conclusioni. Non voglio morire nella degradazione di un banchiere o nel decadimento di un docile manovale…Non esistono che due specie umane e hanno come unico legame l’odio: quella che schiaccia e quella che non si adatta ad essere schiacciata…Dal risveglio al sonno…voi vivete in mezzo a loro: fate come le spie, rinfocolate l’ira, non concedetevi respiro! Senza odio non potrete mai penetrare i loro segreti. Si racconta che, in certe città greche, gli oligarchi prestassero il seguente giuramento: <Io sarò l’avversario del popolo e gli farò nel Consiglio tutto il male che potrò> permettete ai vostri nemici di prestare da soli un simile giuramento?…Sono i padroni degli uomini che bisogna combattere ed abbattere. Le belle conoscenze verranno dopo questa guerra”.

La necessità del rifiuto dei modi di produzione capitalistici, di affrancarci dalla spirale del consumismo, di marcare la differenza genetica e antropologica dal padrone è intrinsecamente portatrice di conflitto, e anche se solo la si trasforma in tolleranza, non può che sconfinare nel servilismo. Migliore risposta a quell’applauso non poteva essere scritta, e alla luce dei fatti nessun’altra che non preveda necessariamente la sconfitta è possibile.

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