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No mia cara Laika. Il tragico rogo avvenuto nella notte fra il 5 e il 6 dicembre del 2007 nell’acciaieria Thyssenkrupp di corso Regina Margherita a Torino purtroppo non è un romanzo, è una storia vera che mette ancora i brividi a raccontarla.

La storia di sette lavoratori che in quel rogo persero la vita: Antonio Schiavone Giuseppe Demasi, Angelo Laurino, Roberto Scola, Rosario Rodinò, Bruno Santino e Rocco Marzo.

E’ talmente vera questa storia che quest’ultimo lo conoscevo davvero, la moglie aveva una panetteria dietro casa di mia madre e spesso l’avevo visto in negozio.

Sette uomini e una fabbrica della morte, della quale era stata programmata la chiusura e da mesi non vi era più alcuna manutenzione, mentre gli operai erano sottoposti a turni impossibili.

Si arriva al processo e gli avvocati della Thyssen spiegano che non si può accomunare i manager a un bandito che spara all’impazzata dopo una rapina, parlano di «processo politico».

Non si può dire avessero tutti i torti: accomunare un criminale che spara dopo una rapina ad un manager che manda incontro alla morte i propri operai dopo averli sfruttati per anni è davvero inaccettabile.

Anche sulla definizione di processo politico non siamo molto distanti dalla verità, un processo politico e di classe è ciò che servirebbe per fermare l’avanzata del capitale, sempre più pronto a tutto per il profitto.

Accade così che il 15 Aprile 2011, l’esemplare lavoro di Guariniello e della Procura di Torino, producano una sentenza definita da tutti i principali giornali storica, che condanna, con un salto di qualità senza precedenti nella giurisprudenza italiana, a sedici anni e mezzo l’amministratore delegato della Thyssen, Harald Espenhahn, per omicidio volontario con dolo eventuale.

Che per tutta risposta minaccia di non investire più in Italia se queste sono le condizioni..

(vi ricorda qualcuno?!)

Ma in una società che abbia raggiunto un livello accettabile di civiltà, questa più che una sentenza di classe o politica è una sentenza giusta, che riconosce i fondamentali diritti umani, in quanto riconsegna un valore alla vita di chi vende il proprio tempo e la propria salute in cambio di un salario che gli permette i mezzi per recarsi sul lavoro e quanto necessario a soddisfare i propri bisogni primari, in una riedizione di quella che una volta veniva definita schiavitù salariata.

Oggi lo stabilimento di Torino della ThyssenKrupp non esiste più. È stato chiuso nel marzo del 2008, ma esistono ancora troppe realtà sommerse e precarie in cui la sostanziale noncuranza delle norme di sicurezza e la fatica resa insostenibile da turni massacranti, hanno permesso, nel solo primo trimestre del 2011, un aumento del 25% delle morti sul lavoro, che ci raccontano dei tanti troppi romanzi criminali che continuano ad essere scritti.

 

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