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Venerdì 28 gennaio, Torino. Il corteo si muove da Porta Nuova e sono ancora in coda al bar per fare colazione. Dalla vetrata inizio a vedere studenti, operai, anziani e bambini appena scesi dal passeggino, muoversi lentamente verso un’unica direzione. Vorrei affrettarmi ma il locale è colmo. Appena esco dal bar, ancora con il sapore di caffè in bocca, capisco che avevo visto male. Oggi non ci sono distinzioni. Non ci sono studenti, operai, pensionati, cassaintegrati, immigrati, precari, disoccupati ma semplicemente persone, tutte uguali, tutte lì per uno stesso motivo: rivendicare la propria dignità violata. Violata da quelle politiche che pur di far quadrare i conti han perso di vista proprio loro, il fine ultimo, le persone e la loro vita.

In quel momento decido che oggi non mi interessa riprendere la manifestazione nella propria integrità, nei movimenti, nella massa come faccio di solito. Oggi voglio provare a ritrarre proprio quella dignità, quel diritto ad esistere che tutti ugualmente, ma ciascuno a modo suo, è sceso in strada per riprendersi, a viso scoperto.

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