Immagine anteprima YouTube 

L’Italia vanta un rapporto Pil/debito pubblico a ridosso del 120%, un livello mai toccato prima in tempo di pace,  sia per quanto riguarda la consistenza dello stock, ovvero il valore assoluto dello stesso pari a 1.900 miliardi euro, sia  per la sua percentuale sul prodotto interno lordo, in costante crescita da 20 anni, la più alta in tutta l’Unione Europea. Di soli interessi su questo immenso passivo spendiamo ogni dodici mesi più 80 miliardi di euro, per dare un’idea  ricostruire il Veneto in ginocchio dopo l’alluvione costerebbe circa  1 miliardo. Negli ultimi diciotto anni gli esecutivi che si sono succeduti al governo hanno erogato al solo servizio del debito,vale a dire senza riuscire mai ad abbattere il capitale,  molto più di mille miliardi di euro. Mille miliardi corrispondono ad un volume di risorse spaventoso; non c’è da stupirsi che la nostra economia soffra nei confronti degli altri Stati. Per colmare un tale gap il Paese può giovarsi di infrastrutture tanto vecchie quanto inefficienti.  

Le tanto invocate  privatizzazioni dal ‘92 ad oggi hanno apportato, da un lato, benefici irrisori per l’Erario, dall’altro, hanno visto diminuire in modo evidente le capacità dello Stato di intervenire virtuosamente nell’economia pubblica, rivelandosi addirittura negative a livelli occupazionali. È innegabile che se al Nord la situazione appare ancora, in qualche modo, sostenibile, nel Sud per svegliarsi ed alzarsi ogni mattina ci vuole coraggio. A fronte di tutto ciò la maggioranza, i media, che a essa appartengono, ed una parte certo non irrisoria del Pd vogliono farci credere che il destino della modernità di questo Paese passi sulle teste,  e poggi sulle spalle, dei 5500 operai di Mirafiori. Sono infatti i loro pochi diritti ed il loro misero salario a compromettere la competitività del nostro sistema produttivo.   

Alessandro Magno (356 a.C. - 323 a.C)

Occorrerebbe, quindi, chiedersi cosa significhi competitività. Essere competitivi oggi significa, dopo avere abbandonato qualsiasi dubbio sui reali problemi che affliggono ormai da più di 50 anni la nostra economia reale, riuscire a comprimere gli stipendi dei lavoratori italiani fino a ridurli alla soglia del salario percepito nel più povero dei Paesi del globo. L’obiettivo è ridurre i lavoratori, i loro diritti, la dignità umana a merce da pagare il prezzo più basso possibile. Il fine è quello di sempre: appagare l’innata tendenza del capitale ad assorbire quanto più possibile il plusvalore prodotto del lavoro. Questo, e solo questo, è il vero intento del capitalismo globalizzato (meglio noto come globalizzazione) e del liberismo sfrenato, ovvero totalmente  privo di freni: siano essi politici, giuridici o etici.   

 

Innanzi ad un simile attacco al cuore del sistema, un partito di sinistra ,che voglia essere definito e voglia potersi definire tale, non può tacere. Infatti quale triste futuro attende la sinistra se tende ad identificarsi con un simile e rassegnato modo di fare politica? Si narra che una volta Alessandro Magno, avendo appreso che un suo soldato, che portava il suo stesso nome, si distingueva per ribalderie, lo avesse chiamato a sé intimandogli la scelta: o cambi condotta, o cambi nome. Tale, dopo la triste presa di posizione sulla questione Mirafiori, mi sembra la scelta che deve essere proposta, oggi, alla sinistra italiana: o cambi modi, o cambi nome. 

Condividi