Parlare del voto di Mirafiori è una faccenda assai delicata, che richiede pudore e rispetto per tutti i lavoratori protagonisti della vicenda. Molti hanno già scritto a riguardo, sottolineando le ingiustizie dell’accordo e l’illegittimità del referendum: il lavoro e la nostra Repubblica democratica che su di esso è fondata, hanno subito un attacco deciso, che si inscrive però in un progetto ben chiaro. Da vent’anni a questa parte infatti la classe politica  continua a far credere che la globalizzazione renda privatizzazioni, liberalizzazioni e la dismissione del patrimonio pubblico operazioni indispensabili; oggi, si aggiunge un altro inquietante elemento: il godimento dei diritti rappresenta un peso che non consente di stare sul mercato e di essere competitivi. Se questa è la logica, è evidente che Marchionne rappresenta la punta di un grosso iceberg e che il post Mirafiori richiede una riflessione decisamente più profonda. E’ il momento infatti di considerare seriamente dove questo modello economico ci sta conducendo: l’ultima crisi finanziaria ha dimostrato che il neoliberismo ha fallito, che non si può continuare a percorrere questa strada perché i suoi effetti, in termini economici, ambientali e di giustizia sociale, sono già insostenibili. Invece di riflettere lucidamente sui fatti, invece di rimboccarsi le maniche per provare a pensare a seri correttivi, si preferisce scaricare gli effetti di questo sciagurato modello sugli anelli più deboli della catena.

Questo episodio, se letto in combinato disposto con la privatizzazione del servizio idrico voluta dall’ex Ministro Ronchi e con la riforma dell’università targata Gelmini, evidenzia la necessità di inaugurare nel nostro Paese una nuova stagione di democrazia. Perché non possiamo restare inerti a guardare gli operai alla catena di montaggio che rinunciano a diritti conquistati dopo secoli di lotte e sangue; perché non possiamo continuare a tollerare che i nostri migliori cervelli fuggano dall’Italia; perché la Costituzione non è un orpello dal mero valore simbolico. Non possiamo attendere un messia politico che ci salvi dal berlusconismo:  è il momento di riprendersi la responsabilità di tutelare il nostro paese, di cambiarlo e di esserne i veri protagonisti.

In tal senso, il referendum che si terrà a primavera per abrogare le norme che privatizzano il servizio idrico rappresenta una tappa fondamentale di questo processo di rifondazione: il consenso che questa battaglia ha saputo aggregare è veramente straordinario, un milione e quattrocentomila cittadini che, sostenendo la campagna referendaria, si sono espressi per un’inversione di rotta e per fermare il saccheggio dei beni comuni.  Rappresenta la sana rinascita dal basso del fare politica: il movimento protagonista di questa campagna ha saputo parlare con la gente prescindendo dai partiti, stando nelle piazze, ritornando alla “comunità di cittadini”: il linguaggio semplice, la scelta di non cedere al tranello dei giochi di potere e degli scambi politici ha pagato,  la gente ha capito e ha appoggiato il movimento e il modello da esso proposto: no alla gestione privatizzata di un bene fondamentale, fuori i profitti dall’acqua.

La battaglia per l’acqua pubblica è una battaglia per la democrazia, rappresenta il momento per tornare a sentirci responsabili di quello che accade nel nostro Paese; nessuno può restare indifferente ai fatti di Mirafiori, rappresentano un ricatto e una violazione della dignità del lavoratore. E’ necessario riprendere in mano il destino di questo Paese, prima che la deriva dei diritti sia definitiva.

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