Gianni Rinaldini, coordinatore nazionale de La CGIL che vogliamo

Visto che in questo periodo vanno di moda gli elenchi, ne faccio uno anche io. LISTA, largamente rimaneggiata, di REFERENDUM svoltisi o proposti in Italia dal ‘46 ad oggi: 

  

  • repubblica
  • divorzio
  • nucleare
  • scala mobile
  • art 18
  • finanziamento dei partiti
  • ergastolo
  • porto d’armi
  • caccia
  • uso pesticidi
  • per abrogare ministero turismo
  • per abrogare ministero agricoltura
  • per la privatizzazione rai
  • sulle rappresentanze sindacali
  • sull’orario dei negozi
  • sui contributi sindacali
  • sulle interruzioni pubblicitarie
  • per abrogare la quota proporzionale
  • sulla tramvia a Firenze
  • sulla servitù coattiva da elettrodotto
  • sulla procreazione medicalmente assistita
  • per dichiarare uno sciopero
  • per il ripristino della darsena e riapertura dei navigli milanesi
  • per decidere dove mettere l’ospedale a Livorno
  • per il passaggio alla regione Emilia Romagna degli abitanti dell’alta Valmarecchia
  • per l’accordo su Pomigliano

 

Abbiamo votato su tutto, dalle questioni che riguardano la vita a quelle istituzionali, da quelle ambientali a quelle sul lavoro. persino per dire la nostra sui tram. Eppure c’è una cosa che ora appare impossibile: votare sui contratti che determinano le nostre condizioni di lavoro, di vita, di salario, di dignità sociale ,sugli accordi che decidono quando possiamo fare una pausa per andare in bagno e dopo quante ore di fatica ci è consentito mangiare. Se avevamo bisogno di un indicatore che dicesse quanto bassa in Italia sia la considerazione data al lavoro questo è certamente adatto.

Voglio raccontare un aneddoto su Niels Bohr, il grande scienziato danese del secolo scorso. Un giorno un suo amico andò a trovarlo a casa. Vedendo un ferro di cavallo appeso sopra la porta e sorpreso di trovarlo a casa di un uomo così votato alla ragione l’amico gli disse che lui non pensava affatto che quell’oggetto portasse fortuna. Al che Bohr rispose: neanche io penso serva a qualcosa. L’ho messo li perché mi hanno detto che funziona bene anche se uno non ci crede. Ecco. Qualcuno ora ha in testa di mettere un ferro di cavallo in ogni fabbrica e in tutti gli uffici, usando la democrazia come quel ferro di cavallo: non ci credo ma è bene che ci sia. E, per portare a termine questa operazione, ha creato un tavolo, ha fatto sedere le parti sociali e ha deciso di costruire una finzione chiamata Tavolo per la Produttività. Ebbene compagni: noi non abbiamo bisogno di feticci .Vogliamo esprimerci attraverso una consultazione vera per poter dire se le condizioni alle quali altri hanno deciso che bisogna lavorare ci stanno bene oppure no. 

L’eminente giurista dal nome complicato -Zagrebelsky- ha appena scritto un bel libro sul vocabolario usato dalla politica italiana nel periodo attuale. Tra i termini da sempre cari a Berlusconi ce n’è uno:
“scendere” che è in effetti molto usato dal premier: scendere in campo…… scendere in politica….. come se in politica uno discendesse da una vita superiore, la vita dell’azienda, dove le meschinità proprie della politica sono assenti e si dipanano virtù, purezza, generosità . Quindi che bisogno c’è di adattare gli strumenti sporchi e superstiziosi della politica, come la democrazia, in un ambito dove regna il bene e la pace sociale, dove “siamo tutti sulla stessa barca” dove “remiamo tutti nella stessa direzione” dove non esiste conflitto ma amore e senso di giustizia.
 

Le aziende sono un posto meraviglioso. è vero….se solo fossero nostre. Perché anche stando sulla stessa barca c’è chi rema e chi sta in cabina e di solito chi sta in cabina non fa i turni di notte. Prendiamo Unicredit. Una barca che è anche una banca. Una barca che non sta affatto affondando. Va solo più piano e non è detto che correre in mare sia sano. Perché per navigare veloci nel lusso sfrenato per tanti anni bisogna aggiungere qualche additivo al motore ed esporsi al rischio o meglio esporre i clienti ai rischi vendendogli roba inutile. Come ad esempio obbligazioni strutturate decennali a inconsapevoli pensionati ultraottantenni o proponendo ai risparmiatori clausole che eminenti rappresentanti istituzionali hanno definito INCOMPRENSIBILI. Al termine “incomprensibile” avrei solo aggiunto l’avverbio: “volutamente”. 

L’amministratore di Unicredit -Alessandro Profumo- ha vissuto dignitosamente nella cabina di comando per molti anni guadagnando circa 25mila euro al giorno e ha lasciato la nave con 40 milioni di benservito. io dovrei vivere più di mille anni per guadagnare tutti ‘sti soldi. Forse è per questo che stanno riformando le pensioni, per permettermi di guadagnare come Profumo. Comunque, proprio nei giorni in cui il condottiero abbandonava la nave, la barca tagliava 3000 rematori anziani con un accordo in cui è prevista l’assunzione di rematori giovani a cui non si applica il contratto integrativo e verso i quali vengono persino negati i buoni pasto. Però le banche sono buone e anche i sindacati pensano ai giovani. Infatti, con una clausola così moderna da sembrare feudale, si favorisce la sostituzione del rematore padre con il rematore figlio e quindi se sei figlio di bancario potrai diventare bancario anche tu e se sei figlio di disoccupato non importa se studi. Tanto in banca non ci entrerai. Se poi tuo padre ha la pelle scura rischi di dover salire su una torre per guadagnare il diritto di continuare a farti sfruttare. Nel frattempo anche Banca Intesa si è data da fare per aiutare le “aree depresse”; e i giovani, ovviamente, a cui tutti tendono sempre volentieri una mano caritatevole. 

L’amministratore delegato Corrado Passera, ad esempio, ha deciso – insieme ai soliti sindacati “non politicizzati”- di aiutarli assumendoli con deroghe al contratto nazionale, allungandogli l’orario di circa 3 ore e riducendogli lo stipendio del 20per cento. ovviamente gli ha ridotto anche i buoni pasto e li ha demansionati di un livello oltre a quello in meno che già gli toccava in quanto apprendisti. e i giovani ringraziano perchè meglio questo che sentirsi sbeffeggiati dai ministri che li chiamano bamboccioni. I padroni sono come dei padri di famiglia un pò all’antica. Essi si dividono fondamentalmente in autoritari e in totalitari. Il padre autoritario dice al figlio: “Che ti piaccia o no andiamo a far visita alla zia.”, mentre il padre totalitario postmoderno, più furbo, dirà: “tu sai quanto ti vuole bene la zia, sta dunque a te scegliere se venire a trovarla o no.” In questo modo dice al figlio che non solo deve andare a trovare la zia, ma che deve essere anche contento. Ora si apre la grande stagione del rinnovo contrattuale nelle banche e l’associazione delle imprese del credito, l’ Abi, sta già apparecchiando la tavola. Le deroghe sono il piatto principale, ma non mancherà il contorno appetitoso del salario legato alla produttività e ai risultati. Perché i risultati contano solo per noi. Per i padroni i bonus non mancano neanche dopo aver sconquassato l’economia di mezzo mondo con architetture finanziarie indecenti. 

Come diceva Bertold Brecht: peggio che assaltare una banca è fondarne una. Chissà cosa avrebbe pensato nel vedere che le banche hanno disegnato il mondo a loro immagine e somiglianza; autoritarismo senza democrazia è lo slogan delle banconote in euro; è scritto sui soldi che teniamo in tasca tutti i giorni. Ai piedi del Partenone tutti lo sanno; anche nei pub irlandesi e sotto i Pirenei. Uno degli studenti inglesi che hanno visto aumentare le tasse universitarie ha detto a un cronista: “Siamo contro i tagli, in solidarietà con i poveri, gli anziani, i disabili e i lavoratori che ne verranno colpiti. Siamo contro tutti i tagli e la commercializzazione dell’istruzione. Occupiamo il tetto del quartier generale dei Tory per dimostrare che siamo contro il loro sistema, che attacca i poveri e aiuta i ricchi. Questo è solo l’inizio”. La loro protesta era motivata: non contenti dei continui aumenti delle tasse propugnate dai governi laburisti, i conservatori hanno pensato di triplicare il tetto massimo delle rette universitarie . di fronte alla protesta, David Cameron ha lasciato un solo commento: “dobbiamo fare in modo che tale comportamento non resti impunito”. E’ uno slogan che adotterei volentieri anche io. Eppure anche i tories la penseranno come Tremonti il quale ha detto:” i numeri vengono prima della politica…non è esatto dire che io ho commissariato il governo. la verità è che siamo tutti commissariati da Bruxelles”. 

In Francia hanno fatto 6 scioperi generali per difendere il diritto ad avere una pensione e a manifestare non erano solo gli anziani. Niente affatto. Certo loro, i francesi, sono avvantaggiati rispetto a noi: da loro i sindacati non hanno paura degli scioperi generali. Di fronte al fatto che vogliono farci fuori non dovrebbe apparire tanto bizzarro provare a difendersi . almeno morire con le armi in pugno perdio! Ma agli italiani non è mai mancata la fantasia e poi vogliamo sempre sembrare generosi: cosa volete che siano 9 mesi, un anno in più per andare in pensione. Da noi, infatti, manco una protesta.
Peccato dover assistere a questa messa in scena, perché in Italia le conquiste sono sempre venute dal conflitto. Soprattutto da quello che usciva dalle fabbriche ed entrava nelle strade, si insinuava nella cultura e permeava le coscienze degli studenti. Senza conflitto c’è solo autoritarismo. Come diceva Dostojewsky: “quale armonia potrà esserci se c’è l’inferno… hanno fissato un prezzo troppo alto per l’armonia”; compagni prepariamoci a restituire il biglietto d’entrata. siamo ancora troppo giovani per andare all’inferno.
 

La CGIL CHE VOGLIAMO è giovane. Eterogenea. Senza Perimetro. Ha pure perso il Congresso. E’ assediata da dentro e da fuori. Però smettiamola –davvero- di ripeterci tutto questo ed iniziamo a coordinarci, a uscire dal ghetto, a far vivere quel cambiamento per il quale ci siamo battuti in questi mesi. E, quindi, quando si firmano accordi importanti nelle Aziende e nelle categorie è necessario dire cosa ne pensiamo. E’ un dovere di coerenza. Quando la Segretaria Generale partecipa al confronto truccato sul nuovo patto sociale senza mandati, senza confronto interno e senza alcun coinvolgimento dei lavoratori, abbiamo il dovere di dire cosa ne pensiamo. Non c’è solo il 25% degli iscritti attivi che lo chiede. La piazza del 16 ottobre ha dimostrato chiaramente due cose: il bisogno di un’alternativa sociale, economica e politica a questo sistema e l’esistenza di un altro modello sindacale. C’è energia e rabbia. Anche disperazione. E’ da qui che dobbiamo partire. Facciamolo subito perché la crisi, anche la nostra crisi, non può più essere un alibi. Per nessuno. 

 

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