L'Unità del 11 settembre 1980

Nel settembre del 1980 avevo 3 anni, conoscevo a malapena il simbolo della Fiat e non immaginavo che oltre ventimila famiglie a Torino stessero vivendo la madre di tutti gli incubi. La mia famiglia viveva in provincia, non conoscevamo nessuno che fosse coinvolto direttamente in quella vicenda ma ora so, per esempio, che il mio amico Massimo (3 anni anche lui nell’80) era il figlio di uno di quelli che avevano ricevuto la famosa lettera da Corso Marconi. Ne ho cosciuti diversi in questi anni, le loro storie si somigliano tutte: raccontano di anni di grandi difficoltà ma anche di una dignità impensabile per i vergognosi 40mila. Un assaggio era già stato offerto a Romiti & Co da oltre 35 giorni di sciopero consecutivi, roba che neanche la fantascienza più ardita oggi saprebbe immaginare. Eppure loro lo fecero. Lottarono come non mai e furono sconfitti, lasciando il portone spalancato alla terribile stagione del riflusso e del disimpegno. Gli intellettuali più fini si sono affrettati a spiegarci tutte le conseguenze di quella stagione, il tramonto del mondo operaio, la fine del sindacato vertenziale, etc.

Purtroppo è tutto vero, cara Laika, hanno ragione. I dirigenti del sindacato e del partito comunista di allora hanno stigmatizzato dapprima la restaurazione guidata dalla Fiat ma col tempo l’hanno digerita, metabolizzata. Di più, hanno permesso che quella sconfitta modificasse per sempre il loro DNA.

La sensazione è terribile anche per chi non c’era, per chi non vide coi propri occhi e non sentì sulla propria pelle il bruciore di quella fiamma. Ma è facile indovinare i pensieri dei protagonisti, le budella contorte, le angosce continue ed estenuanti se solo si guarda il bel film di Wilma Labate, Signorina Effe.

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Karl Marx a Mirafiori

Eppure mi guardi e capisci che non è tutto qua, che non sono venuto qui solo per raccontarti la storia della peggiore delle sconfitte dei lavoratori. E’ strano pensare che l’evento celebrato come la fulgida vittoria del capitale sul lavoro, il trionfo della gestione romitiana sia in realtà lo spettro che agita ancora le notti dei managers e dei padroni italiani. Il faccione di Marx disegnato allora da un operaio ed esposto ai cancelli di Mirafiori occupa ancora l’immaginario collettivo dei Signori della Guerra dell’industria italiana.

Si è detto che da quel 1980 sono dovuti passare 15 anni prima che a Torino si vedesse una manifestazione operaia. Per carità, sarà anche vero. Si dice che le tute blu della Fiom sono isolate oggi, in ginocchio, compresse da Marchionne e Marcegaglia da una parte, Bonanni e Angeletti dall’altra. Allora perché l’attacco nei confronti del lavoro è ancora così forte ed imponente? Perché licenziare i delegati ed i militanti?

Forse perché i padroni han capito ciò che sfugge a molti (e purtroppo anche a diversi dirigenti sindacali): il potenziale che esprimono i lavoratori quando sono uniti è devastante. La storia delle lotte operaie ci racconta di coraggio, orgoglio, fanstasia, dignità, sacrificio, nulla che un Marchionne qualsiasi possa esprimere.

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